Il mio primo giorno di scuola




Mi sveglio, sono ancora le 6,00, è ancora buio, mi alzo, mi butto giù. 
Oggi è il mio primo giorno di scuola,  oggi comincio la scuola media. Sono eccitato, nuova scuola, nuovi professori, nuovi compagni. Ho superato la scuola primaria, sono grande ora.
Faccio tutto di fretta, come Fantozzi, alle 7,30 sono già in strada, con il mio vuoto zaino, le mani in tasca e la testa per aria.
La mia nuova scuola è davanti a me, supero il cancello, un grande prato verde, delle panchine qua e là, alcuni gazebo, tanti giovani, tanti studenti, parlano, gesticolano, ridono, comunicano. Molti indossano gli stessi abiti, sembra quasi una divisa, è una divisa.
Mi ricordo che mio padre una volta mi aveva raccontato di un lontano paese dove dopo la rivoluzione popolare, il loro leader un certo Mao, per eliminare le differenze di classe faceva vestire tutti uguali, ricchi e poveri, colti e ignoranti, burocrati e operai, cosa peraltro ripresa oggi nei ricchi college anglosassoni.
Supero il cancello in compagnia dei miei se e dei miei ma. I miei occhi cercavano un amico, un conoscente, ma vengo risucchiato da un gruppo di matricole come me intenti a fare mille domande ai più anziani in divisa.
All’improvviso lo scorrere veloce del tempo è interrotto dalla voce amplificata di un anziano, anche lui in divisa, un professore forse, che detta alcune e chiare indicazioni.
I ragazzi della prima vadano nel corridoio A, dove troveranno tra una serie di armadietti, uno con il loro nome, all’interno alcuni foglio e una pen drive.
Non aveva ancora finito che io scorrevo le etichette degli armadietti alla ricerca del mio nome, lo trovo, non è chiuso da nessun lucchetto o chiave, quasi come se i ladri si fossero estinti o rinchiusi in parchi chiamati carcere.
Leggo le istruzioni del foglio, dopo un predicozzo sul comportamento, e le norme di sicurezza, mi si chiede di lasciare l’inutile che di solito si usa portarsi dietro, dentro le tasche sempre più capaci, come chiavi, telefono, giochi, tessere biglietti, etc, e di prendere la pen drive con il mio nome ben stampato, e di recarmi nella classe 1° A. Mentre cerco l’aula, ho la presenza di rendermi conto che non era come l’avevo immaginata, con pareti bianche da ospedale, e pavimenti grigi che danno tristezza, ma una esplosione di colori, saturi e pastelli, quasi ad evidenziare le volumetrie, a dividere otticamente gli spazi.
Eccola, ci sono, 1° A, entro, mi fermo, guardo, osservo.
In fondo un grande pannello digitale con la scritta “benvenuti”, sotto un tavolo, con una tastiera ed un piccolo monitor incassato. Una allegra persona vi è seduta, uno dei miei professori penso, uno che dedica la vita lavorativa ad insegnare agli altri i percorsi, i sentieri della vita. Un ruolo riconosciuto di alto valore dalla società, ed equamente retribuito.
Davanti la cattedra 5 file di tavoli con tanti monitor accesi e relative tastiere.
Grandi finestre, grande spazio, un locale arioso, colorato di giallo tenue come la passione dei giovani scolari.
Il professore ci invita a prendere posto  ciascuno in una postazione.
Dice: benvenuti a tutti voi, io sono uno dei vostri professori che vi aiuterà a percorrere il vostro cammino a cercare la strada a trovare la meta. Come avete potuto constatare, nel vostro armadietto avete trovato un pen drive con il vostro nome. Questo rappresenta per voi i vostri quaderni e i vostri libri. Ognuno di voi ha l’accesso ad un computer in rete, con questo svolgeremo insieme le nostre ricerche sulle varie argomentazioni. Le vostre ricerche, i vostri elaborati, ed i compiti che eseguirete in classe o a casa, li salverete nella vostra chiavetta, che poi sarà scaricata nel server degli insegnanti che ne hanno esclusivo accesso.
Ma mentre lui parla, la mia mente viaggia, penso a cosa era stato dei libri, avranno chiuse le librerie, ed i quaderni, le penne, le cartolerie, quante persone avranno perso il lavoro, ma mi consolo dal fatto che con tanta cellulosa risparmiata, sicuramente nel mondo ci sono più alberi, più verde, più aria pulita, e certamente la mia famiglia può risparmiare un sacco di soldi.
Marcello, Marcello, svegliati, ti vuoi svegliare che sono le sette, svegliati devi andare a scuola, mi gridava mio padre, è il tuo primo giorno di scuola. Ricordati di prendere la lista dei libri da comprare, che vedo di poterli trovare usati.
No, no, era solo un sogno, la mia scuola l’ho semplicemente sognata, non era vera. Ma forse un giorno, con scelte oculate gli uomini invece di pensare ai soli ed esclusivi interessi personali, alle loro mazzette e prebende, possono veramente rimettere la cultura al centro dei loro interessi, il bene comune, il bene dei loro figli, costruendo scuole sicure e moderne, e impiegando risorse nel corpo docente che sempre di più assume un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle società moderne e multiculturale.
Scusate, ma faccio tardi, vi lascio, vado a scuola.

Marcello Turco - 14 settembre 2009

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