Libro: "Poesie, Imprevisti e probabilità" di Marcello Turco, edito da Librellula
Scrivere
questa Prefazione per Poesie, imprevisti e probabilità di Marcello Turco ha smosso in me quel senso di responsabilità che
richiama alla scrittura etica per come io la intendo, ovvero pubblicare
un’opera quando abbiamo acquisito la consapevolezza di un traguardo maturo che
possa varcare i limiti dell’ambizione personale
tale da diventare “pubblica”.
Da insegnante di Lettere
quale sono da decenni, cerco di far amare il linguaggio poetico, ma è pur vero
che mi occupo molto di narrativa e poco di poesia (almeno di quella che si
pubblica oggi).
Tuttavia il titolo di quest’opera
mi ha fornito le risposte e aiutato a superare i dubbi: Marcello Turco infatti
si racconta nei versi con ironia, gioco, leggerezza, senza discostarsi dal
quella profondità indissolubilmente legata alla natura del testo poetico.
Parafrasando Leopardi una
poesia tale non è se “non lascia al lettore
nell'animo un sentimento nobile, che per mezz'ora, gl'impedisca di ammettere un
pensier vile, e di fare un'azione indegna”.
Nel leggere le pagine
che mi sono state consegnate in forma di manoscritto devo confessare che è a
questo che ho pensato: alla forza dei versi quando sono comunicati e camminano
verso gli altri con pulizia, onestà, voglia di esprimere qualcosa di buono al
di là del quotidiano scorrere delle nostre giornate, in mezzo a sentimenti,
cose, talvolta persone, che hanno smarrito il senso del vivere civile,
condensando in quest’ultima espressione tutto quello che ci porta a vivere nel
mondo come esseri umani consapevoli. La vità è ciò che siamo, le nostre azioni,
il nostro modo di amare, di rapportarci con noi stessi e con gli altri, con la
mente aperta e il cuore sgombro, pronto ad accogliere.
“Ho
comprato tante case e alberghi ma alla fine ho venduto tutto” scrive
l’autore, come se stesse giocando al Monopoli in una stanza dove si scontrano
Amore e Avidità, dove “si cerca di trovare un senso ad una giornata senza
senso” nella quale “Rido, perché so ridere” perché “I miei occhi
non ti leggono più, mondo sconosciuto.”
La
malinconia del passato, del tempo che non c’è più, lasciato in un barattolo con
l’illusione di ritrovarlo, è un tema ricorrente di questo percorso in versi di
un uomo che ha vissuto senza mai tirarsi indietro e che non ci offre soltanto
delle “poesie” come puri e semplici esercizi di stile, che non sono il
frutto di una certa noia borghese che oggi impera tra molte penne che finiscono
sulla carta stampata, ma sono Vita.
C’è
una poesia che amo molto e con la quale inizio spesso a parlare di linguaggio
poetico nelle mie classi: si tratta di Ars poetica di Archibald MacLeish,
poeta statunitense, i cui ultimi versi recitano “una poesia non deve voler
dire/ma esistere”, cioè la poesia è ciò che ci introduce nel massimo grado
di intimità dell’animo umano, l’unico linguaggio in cui significato e
significante sono interdipendenti, parla ad ognuno di noi in modo differente,
esiste al di là del “significato”.
Una
volta che le parole incontrano lo sguardo del lettore, si muovono immagini,
emozioni, associazioni che dipendono dal luogo e dal momento, dalla diversità dello sguardo: non c’è più
“il” significato, ci possono essere “tanti” significati.
Questa
è per me la bellezza della poesia quando non è autocompiacimento o esercizio
edonistico fine a sé stesso: è la parola che rivela la nostra esistenza, che ci
mette a nudo e spesso punta il dito contro di noi.
Come
diceva un altro grande, Giuseppe Ungaretti: “Io
personalmente sono un uomo, sono un poeta, quindi incomincio a trasgredire
tutte le leggi facendo della poesia.”
In Rabbia,
Marcello Turco scrive “L’anima del mondo muore, ed io ascolto il violino
suonare lontano.”
Io mi sono seduta, ho stoppato il frastuono intorno,
e ho ascoltato il suono di questo violino: a pensarci bene, un atto di
trasgressione.
A voi, adesso, il compito di raccogliere quelle
stesse note nei versi, che non saranno più di Marcello o miei: saranno anche le
vostre.
E con quest’ultimo pensiero mi piace immaginare che
tanti suoni, violini e atti simili di
trasgressione, ci daranno consolazione e voglia di non stare da soli, ci
faranno essere in molti a tornare a quella condizione di ingenuità emotiva
necessaria per rinascere.
Di questo abbiamo bisogno e a questo ci fa tornare la
poesia di Marcello Turco.
Daniela
Grandinetti
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